La vera felicità sta in quello che si riesce a fare
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Sono diventato architetto nell’89. Mi occupo di progettazione architettonica e strutturale. Al giorno d’oggi, tutte le costruzioni devono essere antisismiche, è una caratteristica del territorio italiano. Quindi, in sostanza, io mi occupo dei calcoli che servono a far mantenere in piedi gli edifici. Oltre a questo, svolgo anche le pratiche di successione, divisioni e testamenti, sbrigando tutta la burocrazia che precede il lavoro del notaio. Sono formato anche per occuparmi di molti altri aspetti, ma una persona sola non può fare tutto. Anche nel mio settore è tutto iper-specializzato: nel progetto di una casa rientrano almeno 4 o 5 figure professionali. Io che non ho un grande studio di progettazione, mi devo rivolgere a dei collaboratori esterni. Grazie al BNI ho trovato dei professionisti di fiducia. Nel BNI sono entrato perché sono una persona curiosa e per avere l’occasione di uscire dai confini di Villafalletto per avere dei lavori diversi da fare. È stata l’opportunità di conoscere molte persone e di vedere i diversi modi di lavorare dei vari professionisti. Per me è come un arlecchino, una situazione così strana e varia che è stata stimolante fin dal primo giorno. Lavoro da solo dal 2008, prima c’era un praticante che ha poi scelto di seguire un’altra strada. Essere soli significa poter fare cosa si vuole ed è allo stesso tempo un vantaggio e
uno svantaggio. Svantaggio perché avere la possibilità di confrontarsi può portare ad una crescita e ad una evoluzione. Da soli, il rischio è di imitare sempre e solo sé stessi. Penso che dovrò inserire una persona, nell’ottica di lasciarle lo studio e i clienti. Non penso di smettere di lavorare quando andrò in pensione, ma potrò gestire le cose diversamente solo se avrò un collaboratore che mi dà una mano. Il dubbio su chi cercare è il medesimo di tutti: una persona da formare richiede molto impegno, ma un professionista capace potrebbe avere un modo di vedere le cose differente e generare qualche attrito. Senza contare che i giovani architetti forse hanno l’ambizione di non lavorare a Villafalletto, ma in realtà più blasonate. Io consiglio a tutti di fare esperienza all’estero, anche se ho visto che di occasioni importanti non ce ne sono poi molte. In Nuova Zelanda ho visto che ai giovani architetti facevano prendere le misure delle tende. Quel che posso dire con certezza è che soddisfare un cliente in un piccolo paese dà la stessa soddisfazione che in una grande città. Cambia solo il tipo di progettazione che ti viene richiesta. Durante la pandemia, mentre tutto era chiuso, sono riuscito a lavorare tranquillo. L’impatto economico c’è stato, trascorrere dei mesi senza ricevere dei pagamenti ha creato una certa difficoltà. I fine settimana di quel periodo sono stati particolari: non potendo uscire mi sono dedicato alla casa, tirata a lucido. Sono passato dal trascorrere le giornate all’aria aperta a togliere le ragnatele. A me piace molto viaggiare. Ho partecipato anche a delle gite organizzate dall’Ordine degli
Architetti per andare a vedere le architetture degli altri paesi. Ho visto grandi opere che
hanno fatto la storia e i lavori dei grandi progettisti. Capisco perché impresari e muratori
criticano il lavoro degli architetti, hanno ragione. Spesso le opere più grandiose presentano
degli errori madornali. Il mio lavoro, invece, consiste proprio nella ricerca di una soluzione
funzionale.
Ho due figli che ritengo il mio maggior successo nella vita. Con il più grande condividiamo
la passione per lo sport, con il più giovane la passione per il cibo.